Si va a chiudere. Il tempo deciderà quando. Nel mentre la macchina emette ancora sbuffi di fumo e produce partecipazione al mondo. Ma si analizza nel mentre il grosso, il grandissimo già stoccato e storicizzato. Michelangelo Pistoletto espone le sue opere al Chiostro del Bramante, Roma. Sfida architettonicamente impervia, comunque che si può solo perdere meno peggio di altri. Se si scende a patti è invece cerebrale. Curatela di Danilo Eccher. Si ricorda, in svariati articoli, che sono novanta gli anni dell’artista. Pochi elementi della vita di un essere umano sono importanti come il resoconto dell’esistenza. Alcuni negano di volerlo fare ma non è una scelta che gli compete. Accade al di fuori delle volontà. È, a discapito del nonagenario in questione, un punto focale della mostra è proprio sull’accaduto e sulle conseguenze del suo pensiero. La vedrò, non la vedrò. Dipenderà anche ciò dai venti del destino, gli stessi che hanno giocato con l’arte e l’ideologia di Pistoletto. Non è tipo da conti, da somme e sottrazioni esistenziali ma fa specie che comunque si giunga in una sospensione di lancette, dove ogni azione è ormai commisurata a ciò che inevitabilmente accadrà e che fino a quel punto rischia di diventare una consueta celebrazione.